” L’ultimo Blues, poesie senza rime “
A volte d’inverno mi chiedo dove sei migrata perchè a primavera ti vedo nascosta dietro l’orizzonte come quando i viandanti nell’aria sgombra di nubi rimirano le stelle che spuntano.
Scorrono lievi le parole immani,
volteggiano bianche tra le nubi d’un sospiro breve.
Un turbine di primavera s’è impigliato nel ranuncolo d’oro, in un soffio di luna, nell’ultimo sbuffo di legna.
Su la riva del vento,
nel ruggito delle acque,
liberi i tuoi vestiti umidi di salsedine
che hanno conosciuto il trionfo sciocco de l’amore.
Le pietre odorano di spine di rosa
bagnate da lacrime di consolazione
pietre stese ad asciugare al sole.
É buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi
e risveglia da una morte insonne e sorda,
attorno briciole di pane e silenzio.
Ma prima che invochi il silenzio riempirò di sole le finestre, impaziente di penetrarti, conoscerò il pensiero sul tuo petto.
Pensi e ti rigiri al primo sussulto del vento a quello del sole apri gli occhi e sembra che vedi me per la prima volta.
La porta schiusa al passaggio del meriggio
alita brezza ad un pomeriggio muto.
L’uscio scompare su la via,
oltre le case vuote,
oltre i pensieri accatastati alla rinfusa
La brezza sul selciato,
il suo passo ci ha raggiunto,
la luce come un alito leggero:
questo il battito che sento quando arrivi.
Schizzi d’acqua su le case che crollano mentre cammini vedi il canneto che nasconde un meleto sottosopra.
Come l’onda scava riva
o monte sguinzaglia fiumi
appare senza veli,
in un pudore naturale
la chiarezza lunare e sera nasce.
La pietosa notte
coperta per ogni cosa
raccoglie sorrisi
bruciati nel rosso tramonto,
note sorridono alla luna
e stelle sussurrano
nel silenzio immane del cielo.
La sera arriverà da lontano nel suo incedere di velluto, una luce di vetro vagherà per la stanza e tu mi bacerai prima del sonno.
Nel gelo fermo e duro tremo.
Nel buio di stelle parli , chiami
con gli occhi che osservano il passato.
L’insonnia sveglia con carezze e baci tutta l’impertinenza delle dita che invocano su quel gradino bianco.
Mi ferma l’ansia,
precipito pavido
vicino alla tua bocca
dove sono.
Amore che non bramo,
sei dolore e febbre,
t’amerò per sempre,
senza un dopo
e mai più parlerò di tutt ch’è in me già pesa,
scomparirai lontana e allora tornerò.
Sono quel ch’ero prima, senza speranza alcuna
Mi addormenterò stasera senza parlare, addormenterò il vento che del giorno gonfiò le vele per riempirti i capelli d’estate.
Non vale di più nulla, se non tornare indietro e ripetere tutto da capo ed ora sbarrate la soglia,
chiudete i varchi
permettete a densissimo velo
scender lento su campagne
e mentre campane sognano
chinati a ringraziare le molecole celesti che muovono una piccola dinamo d’amore
Come l’ombra dell’arco romano gira attorno alle pietre della strada in discesa c’è un solo modo di voltarsi indietro: pagando.
Un grido si aggiunse all’ombra,
sotto l’arco, mentre la mia anima senza peso
s’apriva in un sorriso vedendoti.
Penso sia stato quello il momento che fu dato il nome all’amore: quando esce dall’ombra.
Ora mi appare senza più veli,
nel pudore dei suoi gesti liberi,
senza stanchezza de l’ora che si fa notte,
la luna avrà ombre nude.
cotrozzilivio©2014
… non so quale mondo c’è al di là di queste parole ma in ogni modo arriverò.
L’ha ribloggato su Bugiardino Poetico.
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